Sua maestà: il Tartufo

Pregiato, aromatico, intenso e raffinato, sono gli aggettivi che più si addicono ad un prodotto, anzi ad una famiglia, come quella del tartufo.

Prefazione

Questa rubrica nasce per imparare a destreggiarsi nell’abbinamento tra le varie materie prime e i vini, o altre bevande alcoliche e non, più indicati. 

Aiuterà a capire come una materia prima è formata e vedremo come abbinarla in diverse declinazioni.

Il tartufo

Partiamo dai fondamentali: il tartufo non è un tubero, a dispetto del suo nome scentifico (tuber) e l’appartenenza alla famiglia delle “tuberaceae”. Bensì è un fungo, che cresce sotto terra. 

In virtù dell’abbinamento sarà utile capire che ne esistono di diverse specie. Le più famose: Tuber magnatum, il famosissimo bianco pregiato d’Alba; Tuber melanosporum, nero pregiato di Norcia; Tuber aestivum, lo scorzone; e così via.

Una cosa però è molto importante nell’abbinamento: il tartufo non è un alimento, bensì un valore aggiunto al piatto. Anche se il suo semplice apporto è di fondamentale importanza per l’abbinamento.

Si compone in gran parte di acqua (80%), zuccheri (10%) e proteine (6%). Il restante 4% sono minerali, grassi e vitamine

Si possono consumare crudi o cotti, ovviamente più sono pregiati, più si tende a mantenerlo puro.

La prerogativa del tartufo è dunque l’aromaticità, sia per intensità che, spesso, per la complessità. Per questo, il vino che andremo a scegliere dovrà essere altrettanto aromatico e possibilmente con profumi che richiamino il tartufo. Attenzione: andare cauti con l’aromaticità, se troppa lo sovrasterebbe e questo non è proprio quello che vogliamo.

Il profilo del tartufo richiama, ovviamente, sentori terrosi, ma con un’eleganza unica. Ecco che le sensazioni, in base alla qualità del tartufo, evolveranno da profumi di terra bagnata a sentori muschiati, fino a esplodere in nuances idrocarburiche e  mielate. La qualità di un tartufo pregiato si esprime soprattutto attraverso la sua complessità, che sta nella capacità di coniugare diversi profili o, addirittura, nel dare una dinamicità al percorso olfattivo, mostrando a primo acchito sensazioni terrose-erbacee premature che evolveranno nel piatto fino a raggiungere il loro picco evolutivo, un po’ come accade nei grandi vini.

Un altro ruolo che gioca il tartufo in termini sensoriali è, a volte, quello tattile. Quando le lamelle sono tagliate spesse o viene sminuzzato per certe preparazioni si aggiunge croccantezza al piatto. Trattamento spesso riservato a tartufi poco pregiati.

Il vino

Come detto precedentemente, il tartufo non si può considerare come alimento, ma come un potenziale aggiunto al piatto. Soprattutto in abbinamento, questo fattore è da tenere in considerazione: come il piatto si arricchisce di aromaticità, anche il vino in abbinamento deve essere più ricco in termini aromatici. 

Quando si abbinano due elementi aromatici, perché questo vada a buon fine, i sentori devono essere quanto più simili

Ecco che se il tartufo ha sentori terrosi, potremmo pensare a tipologie di vino che richiamano l’erbaceo e il goudron (asfalto bagnato) come nel caso dei Cabernet Sauvignon. Se le sensazioni sono muschiate, un vitigno per eccellenza è il Nasco, con i suoi profumi di muschio ed erbe aromatiche. Con nuances idrocarburiche si può già pensare a vini con maturazioni fenoliche importanti, una su tutte il Fiano, quando riesce anch’esso a esprimere i suoi marcatori idrocarburici, o perché no, un riesling evoluto della Mosella. Note interessanti e utili all’abbinamento con il tartufo si possono ricercare anche nei vini “ossidativi”.

Vanno bene tutti o nessuno, versioni evolute o giovani, il tutto varia in base alle restanti componenti del piatto. Facciamo alcuni esempi.

Uovo al tartufo nero

Due sono gli elementi in questo piatto: l’uovo e il tartufo, lo scorzone in questo caso, con i suoi rimandi terrosi di fungo porcino e nocciola. Cruciale la cottura dell’uovo, ciò cambierebbe radicalmente la struttura dell’alimento e quindi l’abbinamento. In questo caso l’uovo viene cotto all’occhio di bue, con il suo tuorlo cremoso.

Non è il piatto appena descritto, ma una versione rinforzata, con patata, formaggio di fossa e nocciole. In abbinamento qui potremmo sfruttare lo stesso espediente appena raccontato ma aggiungendo ancora più personalità e struttura, magari anche un breve passaggio in legno del vino

In un piatto al quale avremmo abbinato, senza la presenza del tartufo, un vino bianco dalla buona acidità, discreta struttura e alcolicità, come un Soave DOC giovane di pronta beva, con l’aggiunta dello scorzone andiamo in cerca dello stesso identikit, ma con una punta aromatica in più, ammandorlata in questo caso. Alcuni esempi: Verdicchio di Matelica DOC e il Blanc de Morgex et de la Salle DOC, quando sono vinificati in acciaio, consumati giovani ma perfettamente maturi, esprimono intensità olfattiva, grande freschezza e un finale ammandorlato.

Tajarin al tartufo bianco

3 qui gli elementi: la tendenza dolce della pasta, l’untuosità leggera del burro, con la sua proprietà di fissare gli aromi e la grande aromaticità del Tuber magnatum. La variante maggiore è la quantità di burro, più ce ne, più avremo bisogno di proprietà disidratanti nel vino ( alcol e tannino ).

In molti scelgono un vino rosso, come un locale Dolcetto d’Alba, io invece opterei ancora per un bianco. Un bianco ed un “Orange”. Visto la nobiltà del piatto, il vino dovrà essere un marchese. AOC Côtes du Jura, anche con qualche anno sulle spalle (2015/2016 sarebbe perfetto), con la sua complessità infinita e il finale sapido-amarognolo, un privilegio. Oppure, specie se si ha abbondato con il burro, un Orange come una macerazione di Ribolla gialla. La produzione di quest’ultimo deve avere una sinergia controllata di leggera volatile che aiuta la forza dei profumi e l’ossidazione che, quando controllata, apporta complessità, oltre che un abbozzato tannino, estratto dalla buccia “bianca” della Ribolla gialla. 

Filetto alla Rossini

Filetto di Manzo, Foie gras, glassa di Madeira e Tartufo nero pregiato. Pensate che bel lavoro per un sommelier scorporare le proprietà di questo piatto per riuscire a creare un abbinamento originale. Ma soprattuto pensate a che piatto ricco. Siamo davanti ad uno dei piatti più emblematici della cucina francese. Un piatto succulento, grasso, aromatico, con elementi tendenzialmente dolci e grassi (glassa e foie gras).

In questo caso punterò ad asciugare la succulenza della carne, sgrassare il foie gras e creare un perfetto fin di bocca aromatico tra tartufo e persistenza del vino. Senza scordare però la struttura del piatto, imponente. Proporrò 2 abbinamenti, uno classico ed uno originale. Storicamente si abbina ad un vino di Bordeaux, con i suoi descrittori tipici, la nota “goudron” della tipologia ben si sposa a quelle del tartufo. La grande acidità e il possente tannino addomesticano le esuberanze, chiudendo in un finale complesso e infinito. 

Se optate per un vino di questo genere, ma non avete a disposizione un vino di Bordeaux, andrà bene anche un taglio bordolese italiano, nella zona di Bolgheri o nel padovano se ne trovano diverse tipologie.

ATTENZIONE: continuando a leggere si verrà esposti ad una seria provocazione. Se non ti piace scomporti, questo contenuto potrebbe turbare molto la tua sensibilità. Aprire in un Sassicaia turba solo il portafogli.

Io gli scelgo un vino…dolce, provare per credere, un Sagrantino di Montefalco passito DOCG. Un vino dall’estratto incredibile, accentuato dal residuo zuccherino ma equilibrato da un tannino imponente e una grande acidità. I profumi sono tantissimi, su tutti more di rovo, spezie, erbe aromatiche. Vino che non viene mai venduto giovane, ma almeno a 5 anni dalla vendemmia. 

Questa provocazione nasce dalla tradizione che hanno i francesi di abbinare il foie gras al Sauternes (il loro vino dolce più importante). Il finale amarognolo di questo vino dolce muffato francese bene si sposa alla grassezza e tendenza dolce del fegato. Quel finale amarognolo, dato della botrytis, nel Sagrantino viene sostituito dal tannino, che allo stesso tempo asciuga i succhi della carne, insieme all’importante apporto dell’alcol. Chiude con un finale di frutta in confettura e sottobosco, dove alla fine volge il richiamo del tartufo. Davvero goloso.