Il vino di una volta – parte 1: Tra Caucaso e Mesopotamia

Argomento tanto antico quanto attuale. Negli anni ’70 l’industria agroalimentare, entrata prepotentemente anche nella viticoltura, ha portato scorciatoie sintetiche in vigna e correzioni invasive in cantina. Tutto ciò ha portato ad una nuova consapevolezza: bisogna prendere spunto dal passato per fare un vino del futuro.

Di questo passato noi faremo un excursus tra i vini dell’austero mediterraneo orientale e dei gloriosi romani.

Inizieremo con le prime 2 tappe: Georgia ed Egitto, Caucaso e Mesopotamia.

Se vi fosse mai capitato di chiedervi come potesse essere il vino a quei tempi potreste rimanere davvero sorpresi!

I Primi che pigiarono l’uva

Questa non sarà una novità per molti di voi: siamo in Georgia. Gli archeologi hanno attestato la presenza di semi d’uva (per loro già prova di vinificazione) provenienti dalla Georgia del sud: 7000-5000 a.C. 

Fra le viti che affiancavano casa, ogni contadino georgiano aveva la sua marani, cioè la sua cantina. La famiglia portava qui l’uva in un tronco cavo, e, una volta pieno per metà, il contadino pigiava i grappoli interi, rigorosamente con i piedi. In cantina si trovavano interrati i loro Kwevri (o Qvevri), le giare da vino in terracotta. Era lì che l’uva pigiata veniva messa, con l’ausilio di un cucchiaione, fino quasi a riempirle. Al loro interno l’uva fermentava, al fresco sotto terra. In primavera il vino veniva prelevato e trasferito in un altro kwevri appena pulito, dove veniva separato dalla buccia. Il vino, sigillato e sotto terra, poteva così conservarsi all’infinito

Ai giorni nostri queste vinificazioni esistono ancora eccome, tanto da essere considerate patrimonio mondiale dell’Unesco. Vi consiglio anche di dare un occhio anche a questo video.https://www.youtube.com/watch?v=hwe10aweF_w

Piccola curiosità: nonostante anche per i georgiani fosse una forma d’arte, il banchetto (o kiepi) veniva diluito in un lungo lasso di tempo. Questo per non ubriacarsi, poiché i georgiani hanno sempre vissuto tradizionalmente sotto la minaccia di qualche attacco. Questa è un’altra triste realtà moderna per le regioni del Caucaso purtroppo…

Il vino dell’antico Egitto

Ciò per cui bisogna essere assolutamente riconoscenti agli Egizi è di essere stati i primi a descrivere i particolari della loro arte enologica. La “macchina del tempo” in questo caso sono state le tombe dei faraoni. Grazie alle loro illustrazioni sappiamo tutto del vino egizio. Ad eccezione del sapore!

Ingegno e arguzia

Gli Egizi avevano un’abilità destinata a non essere eguagliata da nessun’altra civiltà fino ai tempi moderni. Iniziando dalla pigiatura, ebbero un’idea semplice eppure meravigliosa: vista la difficoltà di lavorare in una vasca aperta, sistemarono barre trasversali al di sopra di essa. Questo permise ai lavoratori di sostenersi durante la pigiatura. Altra ingegnosa trovata degli Egizi fu il torchio a sacco per la spremitura delle vinacce.

Vinificazione egizia

Certo è che al tempo della vendemmia l’uva era eccessivamente matura, visto il sole egizio. Inoltre la maggior parte dei dipinti mostrava uva nera. Visto che anche il liquido che scendeva verso le giare da fermentazione era scuro, siamo indotti a pensare che la fermentazione iniziasse già nella vasca della pigiatura.

Dopo la prima fermentazione violenta è probabile che il vino venisse travasato, separato dai sedimenti più grossolani, per completare la fermentazione in un’anfora pulita. A differenza dei georgiani, è curioso il fatto che gli Egizi non seppellissero le anfore. Non ci sono immagini che dimostrino alcuno sforzo per tenere il vino al fresco durante la fermentazione.

Venivano tappate con un tappo di canne ricoperto di argilla, marchiato con il sigillo del produttore e con l’anno di produzione. Anche se, per quel che riguarda l’invecchiamento, l’alcol giocava il vero ruolo di conservante, grazie alla maturità delle uve alla raccolta.

Un Egitto al passo con i tempi

In Egitto la bevanda di tutti i giorni era la birra, mentre il vino godeva di più prestigio, in quanto offerta agli dei e ai morti.

Ultime curiosità: ai tempi di Tutankhamon, le anfore di vino avevano etichette precise quasi quanto le odierne, a eccezione della varietà di uva impiegata. Erano specificati anno, vigneto, proprietario e capo cantiniere. I vigneti migliori erano sul “Fiume Occidentale”, il ramo occidentale del fiume Nilo, nel basso Egitto. Nell’alto Egitto nessuno tentò di coltivare viti fino al 300 a.C. (Pierre Montet, 1952, Les Scène de la Vie Privée dans lei Tombeaux Egyptiens de l’Ancien Empire).

Shares
Share This