Quanto l’uomo incide sul territorio
Il bello in Italia si trova soprattuto nelle variegate diversità, pressoché in tutto: specie, tradizioni, culture, pedologia e cosi via.
Ne fa da testimone la denominazione di Soave, da alcuni pensata come la regione dall’alta qualità e potenzialità, da altri come generosità e profitto.
D’altronde il padre di uno dei grandi testimoni della denominazione lo lasciò scritto nel suo testamento, rivolto ai figli Sandro e Claudio Gini, con queste parole: Attenzione, la garganega è generosa. Poche parole che rendono subito noto il concetto e il bivio di produzione.
FOCUS SUL SOAVE
Ma partiamo dalle basi:
Il vino di Soave ha alle sue spalle una solida e millenaria storia che ha inizio con il primo accenno di Cassiodoro, 503 d.C. con queste parole: “il vino bianco, ottenuto da uve selezionate, ha un bellissimo candore che sembra creato da un giglio bianco”.
Diverse le testimonianze che indicano la nascita del nome, alcune fonti indicano testimonianze scritte durante da Dante Alighieri durante il suo esilio, altre che derivi degli Svevi, tribù nordica che un tempo popolava la zona.
Data molto importante invece è il 1931, quando la zona del Soave viene ufficialmente riconosciuta.
Zona che oggi conosciamo come Soave Classico.
Come in tutta Italia, lo sviluppo industriale del secondo dopo guerra portò la viticoltura a diventare un qualcosa di intensivo ed industrializzato. La denominazione entra in espansione, dove anche le pianure alluvionali vengono vitate ed onoreficiate della menzione Soave. Da qui la necessità di dover scindere quella che è la zona classica da quella “allargata”.
La zona classica si differenzia da quella allargata soprattutto grazie alla complessità di matrice geologica (terreni vulcanici di diverse origini e terreni calcareo argillosi) e dall’altitudine, dolci colline tra i 150 e 250 metri s.l.m. . I vini sono più complessi e ricchi, adatti ad un buon invecchiamento.
DUE FACCE DELLA GARGANEGA
Forti le testimonianze di due attori protagonisti quali Claudio Gini e Roberto Anselmi, a Monteforte d’Alpone, cuore della zona classica.
Entrambi sono dei custodi di quello che è Soave, in primis come territorio poi come vino.
Il primo è il fratello di Sandro Gini, attuale presidente del consorzio.
Claudio racconta con grande lucidità quella che è la mission della sua realtà. Azienda da sempre volta alla sostenibilità ambientale e alla custodia dei propri vigneti, preservando le vecchie vigne, i vecchi sistemi di allevamento (pergola su tutto) e il mantra garganega. Azienda da circa 60 ettari, dislocati in 2 diverse località. A Monteforte d’Alpone i suoi 32 ettari di garganega e qualche filare di trebbiano toscano, atti rigorosamente a produrre Soave Classico e i cru La Froscà e Contrada Salvarenza.
Dall’altra parte un pezzo da novanta: Roberto Anselmi; energico e visionario viticoltore da sempre, ex presidente del consorzio di Soave.
La cosa più importante: Roberto non produce Soave Classico dal 1998, ma Bianco Veronese IGT.
1998, l’anno in cui Roberto decise di uscire dal consorzio dopo importanti screzi dovuti alla visione futura del vino di questo territorio.
La visione di Anselmi si concentra su quello che è l’importanza del basso impatto e della sostenibilità, le giuste rese e, da sempre, su qualitativi sistemi di allevamento; Roberto ritiene la pergola un sistema di allevamento troppo limitante per l’espressione dell’uva e un assist a chi decida di produrre grandi quantità.
La varietà d’uva è una sua visione sia futura che molto attuale; essendo fuori dal disciplinare non deve più curare l’aspetto varietà, utilizzando vitigni quali sauvignon blanc, chardonnay (in percentuali più alte di quelle che sarebbero indicate per produrre un vin Soave) e goldtraminer. Ciò va soprattutto incontro al problema di global warming ma riflette anche l’idea di casa, quello di avere nel blend l’arma numero uno contro differenti andamenti annuali.
Al contrario Claudio Gini definisce la pergola come un patrimonio del territorio, ricordando la frattura di 25 anni prima.
Conclusioni
Quando Roberto fu nella posizione di presidente propose e provò a mettere in pratica delle variazioni di disciplinare che avrebbero dato inizio a una rivoluzione nella denominazione veronese: la scelta di una viticoltura rispettosa e a basso impatto ambientale, la restrizione sulle rese, l’abolizione della pergola e il vincolo di 2 sole scelte come sistema di allevamento: guyot o alberello.
La rivoluzione non fu ben accolta e Roberto decise di abbandonare il suo ruolo nel consorzio e la sua adesione con esso, continuando a produrre il vino secondo la sua visione, in quella meraviglia che è Monteforte d’Alpone.
La domanda è lecita, cosa sarebbe successo se nel 98 Anselmi fosse riuscito a ribaltare le leggi di questa denominazione? Lui insiste a definire il Soave come una Borgogna mancata.
Dall’altra parte Claudio e Sandro Gini, forti di tradizione, persistono nel rafforzare il concetto di cru, vitigno e, soprattutto, di Soave Classico.
La vera domanda invece che ci va posta è questa: potrà mai una denominazione come questa, forte di una cantina sociale dai numeri spaventosi (133milioni di euro nel 2021) e che quindi apporta un fortissimo aspetto politico, di fatturati record e dalla costante espansione territoriale, riuscire a emergere dal punto di vista qualitativo come merita?
Commenti recenti