Un accompagnatore per il filetto alla Wellington

Giungiamo infine al termine delle festività natalizie, al pranzo dell’Epifania. Se ancora non fossero bastati cotechini, tortellini, arrosti, umidi e intingoli e aveste ancora voglia di ingolosirvi, soffermatevi a leggere questa preparazione in crosta. Ah e ovviamente il suo vino in abbinamento!

È una ricetta che risale al XIX secolo quella del filetto alla Wellington. A quei tempi gli chef erano destinati prettamente alle grandi famiglie reali e ducali. Ci fu un duca in particolare, famoso per avere fermato Napoleone a Waterloo, Arthur Wellesley. Il duca di Wellington era famoso anche per i suoi gusti difficili e sofisticati, che provocaronoil licenziamento di moltissimi chef. Si dice che una delle uniche ricette tanto care ad Arthur fosse proprio questa particolare preparazione in crosta, a tal punto da ereditarne il nome.

La preparazione non è così complicata, ma il sapore gioca su un buon livello di complessità, in quanto oltre alla doppia cottura del filetto ci sono molti altri elementi che rendono stuzzicante l’abbinamento.

In viaggio tra i sapori

Come dicevamo, non è solo il filetto che fa la parte del leone in questo piatto, ma un armonia di elementi

Partendo dall’esterno troviamo ovviamente la crosta, fragrante, croccante e aromatica, spennellata con rosso d’uovo. 

Il prosciutto crudo, la parte sapida, che contribuisce in maniera cruciale all’apporto di sale nella carne.

La Duxelles, si tratta di una salsa a base di funghi frullati successivamente cotti con scalogno, burro e erbe aromatiche. La salsa ha un apporto cruciale in quanto darà una sfumatura terrosa al piatto, che io ho voluto enfatizzare con l’aggiunta di una punta di cacao amaro.

Infine il filetto: massaggiato con un pizzico di sale e pepe, scottato a fiamma viva in padella con una noce di burro e infine spennellato con senape in grani.

Il tutto cotto in forno.

Per l’abbinamento dovremmo tenere conto delle diverse sensazioni che il piatto ci regala. Quindi: un’abbondante succulenza, sapidità e una marcata nota aromatica, soprattutto terrosa, giocata da diverse componenti del piatto. Senza dimenticare che siamo davanti ad un piatto non proprio esile, ma di struttura.

Quando sentii la prima volta il fragrante e terroso aroma che il filetto alla Wellington emanava al momento del taglio mi parve subito chiaro quale vino avrebbe potuto valorizzarlo.

Dalle Langhe il perfetto accompagnatore

La traccia terrosa del fungo ha inebriato già la stanza quando il tappo del vino mi ha appena rivelato la sua sanità.

Si tratta del Barbaresco riserva della cantina Produttori del Barbaresco, ma non una normale riserva, bensì un MGA: “Pora”. L’acronimo sta per “menzione geografica aggiuntiva”, 66 nella zona di produzione divise in 3 comuni ( 4 i comuni con San Rocco Seno d’Elvio ). Si tratta di zone particolarmente vocate al punto da creare un’armonia distintiva e originale tanto da essere isolate e riportate in etichetta. Un Barbaresco, o Barolo, che riporta una menzione MGA, è stato sottoposto ad un ancor più rigido disciplinare di produzione.

La particolarità dei vini di questa menzione è la propensione alla pronta beva. Mentre normalmente il Barbaresco è un vino che giova di un periodo di affinamento in bottiglia ( specie in MGA come “Gallina” e “Asili” ), “Pora” mette già in luce diverse virtù già in tenera età.

Che la Cantina Produttori di Barbaresco sia una certezza è abbastanza scontato. Un Barbaresco da consumare “giovane” il Pora, che mette già in mostra uno sgargiante granato lucente e un profilo dove le prime sensazioni richiamano il frutto, ribes, more, frutti di bosco, fiori e una sensazione terrosa e speziata, con note balsamiche leggermente più in ombra rispetto ai più evoluti Barbaresco, preferendo note più scure, come la liquirizia, rimanendo comunque piacevole e complesso, ma con grande spinta dei profumi. Il sorso è succoso, c’è tanto equilibrio, brio e freschezza. Il Tannino riporta tutto al suo posto, aiutato notevolmente da una spinta calorifera data dall’alcol, anch’essa cruciale con tutta questa bella verve acida. Chiude con un bel frutto maturo.

L’abbinamento

Un enorme successo, a partire ovviamente dalla parte aromatica ed il profilo del vino che sono combaciati alla perfezione. Il connubio tra la parte sapida, data soprattutto dal prosciutto crudo, e il tannino è il vero aspetto “mangia e bevi”.

Un piatto strutturato per un vino con gli attributi, il finale è orgiastico: frutto, spezia, note terrose e umami fanno la gara per chi la spunterà sulla persistenza, senza accorgersi che hanno vinto tutti.

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