I vini Ossidativi

Tanto attuale quanto antico. Questa tipologia di vino è un sempreverde, ce ne sono disseminati in tutto il globo: Moscato di Rutherglen, Château Chalon, Banyuls “rancio”. Ma solo gli eventi storici e le egemonie hanno incoronato i più famosi vini ossidativi, dai nomi sicuramente famigliari: Madeira, Sherry e Marsala!

Cosa sono?

Velo de flor” in Spagna o “Voile” in Francia

Come rievoca il termine sono vini prodotti a stretto contatto con l’aria e con il tempo. Una volta che il vino è prodotto avrà necessità di un tempo più o meno lungo di riposo. È in questa fase che l’apporto dell’ossigeno è essenziale per la riuscita di questi vini. Ci sono vini che invecchiano sotto un velo di lieviti, detti flor, come lo Sherry fino, altri che utilizzano l’alcol come volano ossidativo e come protezione dagli acetobacter, come Sherry oloroso e Marsala, o chi utilizza stufe (estufas) per generare calore e umidità in maniera controllata, dall’invecchiamento ne deriva un profilo originale, frutto casuale del retaggio passato, ovvero il Madeira.

Il loro profilo olfattivo è inconfondibile, con la classica e nitida traccia di frutta secca, noci, caramello e mela ammaccata dati dalle acetaldeidi.

Al giorno d’oggi, con la consapevolezza attuale, i vini ossidativi “moderni” sono quelli che sanno coniugare alla perfezione un’ossidazione controllata con una traccia varietale caratteristica del vitigno e della sua zona di elezione per creare un’ armonia riconoscibile e caratteristica. Più facile a dirsi che a farsi, poiché questa pratica può omologare il vino, facendo preponderare le note ossidative su qualsiasi altro profilo. Gli unici vini in cui la preponderanza di questa nota viene considerata un pregio sono gli storici vini ossidati (Marsala, Madeira, ecc.). Oggi assistiamo alla nascita di splendide zone destinate a entrare nel gotha dei terroir tradizionali di questa categoria, facendola evolvere ad un livello superiore. Basterebbe assaggiare qualche vino dalla regione dello Jura per capire il percorso in ascesa di questi vini.

Ma stiamo divagando. Torniamo a noi.

Vini ossidativi di un tempo

Non tutti i vini sono destinati ad un invecchiamento ossidativo, questo era risaputo già da tempi antichi. Fino al XVI secolo i vini si dividevano in due tipi: i primi erano quelli leggeri checostituivano una bevanda rinfrescante ma altamente soggetta ad acetificazione per cui poco adatti a lunghi invecchiamenti. I secondi erano quelli forti, alcolici, più pregiati per via della grande quantità d’alcol che dava la possibilità a questi prodotti di conservarsi nel tempo.

Quest’azione protettiva dell’alcol si è sempre ricercata. Si tratta di un fattore determinante per evitare l’acetificazione, un conservante e, non ultimo, ha sempre avuto il suo inebriante fascino, in ogni epoca storica!

Le origini dello Sherry come vino navigato

Non è un segreto che il vino di qualità sia legato indissolubilmente all’arte della navigazione e ai viaggi mercantili. Non a caso le migliori zone vitivinicole sono spesso legate a località portuali e fiumi (Bordeaux, Mosella, Jerez, ecc.).

La storia dello Sherry inizia all’epoca in cui Venezia aveva l’egemonia sul Mediterraneo. A metà Quattrocento, ai primi segni di cedimento della Serenissima, la Spagna doveva premere sull’accelleratore. Venezia non era più in grado di garantire il commercio delle dolci Malvasie dall’Oriente e l’Inghilterra iniziava a prendere terreno sul Mediterraneo. Era l’occasione per gli spagnoli di farsi notare ed entrare in quel mercato. 

Lo Sherry, prodotto nel triangolo di Jerez de la Frontera, Sanlúcar de Barrameda ed El Puerto de Santa Maria, ha radici imprecise, ma fonti sicure nel XIV secolo. Questo vino veniva chiamato dagli Andalusi “rumney” (il nome che le isole di Zante e Cefalonia davano alla loro malvasia), per ammettere apertamente che il loro intento era di imitare il vino greco.

Tradizionale metodo di invecchiamento “Soleras“. Consiste in un sistema di rincalzo a batterie di botas (cachones), ed ogni anno si imbottiglia lo Sherry dalla botte a terra (Solera), mentre si usa per compensare il vino spillato le botas superiori (criadera). Mentre il vino nuovo, pronto ad invecchiare, verrà messo nella botte più in alto (sobretablas).

Il duca di Medina Sidonia abolì le tasse sull’esportazione del vino da Sanlúcar e concesse ai mercanti inglesi una posizione privilegiata. Tuttavia, ci furono conseguenti tensioni tra Spagna e Inghilterra, dovute all’Inquisizione. Esse non fecero che aumentare la fama di questo vino (a dispetto degli spagnoli), quando Drake, grande uomo di mare, depredò il porto di Cadice. Tra i vari bottini, il più famoso fu sicuramente una gran quantità di sack (nome con il quale gli inglesi conoscevano lo sherry, ovvero merce da esportazione). 2900 barili. Dopo quell’anno, 1580, e per molti altri ancora, non vi era taverna inglese che non vendesse il proprio sack come “vero Cadice”.

Le origini del Marsala come vino navigato

Anche qui il denominatore comune fu la navigazione e, di nuovo, gli Inglesi, con protagonista John Woodhouse, mercante inglese del XVIII secolo. Spinto dall’impossibilità di spedire vino da Spagna e Portogallo per via delle guerre napoleoniche, il suo pensiero si rivolse alla Sicilia e alla sua gloriosa produzione di vini greci in passato, con la presunzione di farla tornare agli antichi albori. Andò a Malaga per imparare a produrre il locale “mountain”, vino liquoroso prodotto vicino a Cadice, e creò la sua versione in quel di Marsala.

È grazie anche a Horatio Nelson, ammiraglio britannico, e alla sua flotta Mediterranea, che il Marsala ebbe così successo. Invece del solito rum, fece imbarcare il potente vino liquoroso di Woodhouse che venne utilizzato per festeggiare la vittoriosa battaglia sul Nilo. 

Fu un successo, tanto che l’ammiraglio ordinò 500 “pipe”, botti di legno utilizzate tipicamente per il Porto della capienza di 550 litri (circa), da consegnare alle sue navi a Malta.

Purtroppo, una volta passate le guerre, i vini che erano già famosi tra gli Inglesi tornarono alla ribalta (Madeira e Porto), mettendo in ombra il Marsala.

Una boccata d’aria

Louis Pasteur afferma nei suoi scritti che l’ossigeno è il peggior nemico del vino, proseguendo poi col dire che “per fare il vino è necessario l’ossigeno”. Quello che sembra apparentemente un ossimoro ha molto di veritiero ed è la dimostrazione che nel vino, come nella vita, la chiave del benessere è l’equilibrio.